Quale è il metodo migliore di osservazione? Per cercare di rispondere a questa domanda proverò ad aiutarmi con l’astronomia e mi chiedo: quale è il modo migliore di osservare il cielo?
La prima risposta che viene da dare è direttamente, ad “occhio nudo”.
Il vantaggio è di non aver bisogno di strumenti per effettuarla, si può praticare l’osservazione diretta tutte le sere, sin da bambini.
L'osservazione del cielo ad occhio nudo ha però una finalità puramente pratica e di diletto. Essa deve essere eseguita necessariamente in luoghi bui, lontani da fonti luminose e in ambienti esenti il più possibile da dispersioni di inquinamento luminoso. In questo caso è possibile identificare solo le costellazioni principali e gli oggetti del cielo più luminosi. Non riesce a scorgere i dettagli, non permettere di distinguere le singole differenze nel cielo. Fa immaginare cose che si percepiscono solamente, fa sognare ma non crea ricordi nella mente e nel cuore. Fa crescere il desiderio di una visione più approfondita.
È cosi che si comincia a dotarsi di nuovi strumenti per un’osservazione più consapevole.
Si passa così all’osservazione a lenti con i telescopi; una lente è un elemento ottico che ha la proprietà di concentrare o di far divergere i raggi di luce. Grazie a questa proprietà può formare immagini, reali o "virtuali", di oggetti.
La componente ottica di un telescopio rifrattore è costituita da un tubo lungo sulla cui estremità frontale è disposto l’obiettivo, che ha la funzione di raccogliere e di focalizzare la luce. L'obiettivo svolge sostanzialmente la funzione di un prisma: scompone e ricompone la radiazione luminosa in un determinato punto.
La lente permette di correggere un difetto o, come nel caso dell’osservazione con un telescopio, di potenziare la propria vista. L’occhio riesce a vedere quello che non vedrebbe, il cervello rielabora un’immagine diversa da quella che vedrebbe ad occhio nudo. Tanti dettagli vengono concentrati in una singola immagine e così si riescono a distinguere i diversi oggetti, ma quello che vede l’occhio è un’immagine virtuale, creata su misura per lui. La lente è poi un mezzo ottico che si frappone tra occhio e il risultato dell’osservazione, filtrando parte della luce restituendo un’immagine più buia, più circoscritta.
Un ulteriore modo per osservare al cielo è quello di utilizzare i cosiddetti telescopi riflettori, che raccolgono la luce per mezzo di uno specchio parabolico, concentrandola sul fuoco della parabola, dal quale può essere osservata, fotografata o analizzata mediante strumenti.
Grazie all’utilizzo degli specchi l’immagine viene potenziata senza essere filtrata o distorta da una lente, dando la possibilità di vedere esattamente la sua configurazione, la sua conformazione. I telescopi a specchi permettono di vedere corpi celesti anche molto lontani, impossibili da vedere non solo ad occhio nudo ma anche con i telescopi a lenti.
Eppure, il ruolo dell’osservatore influisce ciò che si sta osservando e ne modifica l’osservazione finale. Infatti, “il principio di indeterminazione di Heisenberg ci dice che non è possibile misurare contemporaneamente e con estrema esattezza le proprietà che definiscono lo stato di una particella elementare. Se ad esempio potessimo determinare con precisione assoluta la posizione, ci troveremmo ad avere massima incertezza sulla sua velocità. Questo concetto si può esemplificare pensando a come, in linea di principio, si potrebbe misurare la posizione di una particella così piccola da sfuggire dall'osservazione ad occhio nudo. Utilizzando un microscopio, sempre più potente, si può pensare di individuarne la posizione con sempre maggiore precisione. Tuttavia, così facendo, noi dobbiamo illuminare la particella con un fascio di luce, ad esempio, e, così facendo, dato che la luce porta energia ed impulso, la nostra particella riceverebbe una piccola spinta che cambierebbe il suo stato di moto. E più si illumina la particella con potenti microscopi, più le si da energia, più si cambia il suo momento, cioè la sua velocità, e meno possiamo determinare la sua velocità di partenza. In altre parole le due misure, della posizione e dell' impulso (massa moltiplicata per la velocità) comportano un'indeterminazione complessiva. Il principio di indeterminazione da un punto di vista concettuale significa che l'osservatore, cioè lo scienziato che fa la misura, non può mai essere considerato un semplice spettatore, ma che il suo intervento, nel misurare le cose, produce degli effetti non calcolabili, e dunque un'indeterminazione che non si può eliminare”.
Quello che viene spontaneo domandarsi è quanto il ruolo dell’osservatore influenzi ciò che viene osservato in ogni ambito della nostra vita: lavorativo, personale, famigliare.
Come e in che modo i filtri che guidano il nostro agire quotidiano ci impediscano di cogliere dettagli altrimenti importanti. L’assunzione di un modello teorico, infatti, limita l’osservazione obiettiva ed esente da giudizi, portando alla ricerca di dati che confermano la teoria stessa.
Parafrasando Einstein “Sono le nostre teorie che determinano le nostre osservazioni”.